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Maurizio Nappa

Alla scoperta del Togo

News.

Maurizio Nappa

Alla scoperta del Togo

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Il festival voodoo è finito, i miei amici partiranno stasera. Io invece proseguirò da solo, con la guida locale che sto per conoscere, per il momento so solo che si chiama Yaya. Ho costruito l’itinerario assieme a Roberto Cerea, l’ottimo manager di Transafrica, colui che ha ideato il viaggio in Benin per il festival appena concluso, che è stato eccellente. Eppure sono un po’ inquieto per questo viaggio che sto per affrontare: girerò in macchina 3 Paesi, il Benin del nord, il Togo e il Ghana, solo con la guida locale. Quello che mi sembrava esotico al momento della programmazione, stamattina mi agita: e se non andassi d’accordo con Yaya? Di lui so solo che è togolese e parla italiano. Ormai è tardi per i ripensamenti, sono in ballo e ballerò.

Yaya viene a prendermi nell’hotel a Ouidah di primo mattino, è puntuale. Il programma del giorno è di andare in Togo, visitare Lomè e incamminarci verso il nord, nella regione forestale di Kpalime. Ho il tempo di salutare Eleonora, Michele, Renato, Teo, Carlo e Sena e mi incammino verso una nuova avventura. Yaya deve avere pressappoco la mia età (scoprirò poi che ha due anni più di me) e sembra molto simpatico. Mi propone di vivere per due settimane come un vero africano, e io accetto subito con entusiasmo; saremo flessibili e useremo l’itinerario come linea guida, ma ci fermeremo lungo la strada presso ogni villaggio che riterremo interessante. Ho organizzato il viaggio con la formula “bed & breakfast”, proprio per avere la massima libertà di movimento, quindi non ci saranno problemi di sorta. Gli chiedo di fermarsi presso un mercatino lungo la strada, ho bisogno di comprare le caramelle, da donare ai bambini che incontreremo nei villaggi. Cominciamo subito con un fuori programma: la visita al mercato del pesce di Lomè, immenso. Un luogo che i turisti non visitano e che io, nato e cresciuto sul mare, apprezzo particolarmente. L’odore del mare, la varietà di pesce, la folla e il caos mi ricordano il mercato di Pozzuoli, non lontano dai luoghi in cui sono cresciuto. Yaya mi chiede poi se ho già la valuta del Ghana: siccome entreremo nel Paese dalle foreste del nord, non avrò occasione di effettuare un cambio, almeno non nei primi giorni. Purtroppo non ho ancora la moneta ghanese, e allora Yaya mi propone di andare alla frontiera per cambiare, prima di lasciare la costa. Sono convinto che mi stia portando in banca, ma mi sto sbagliando, e non di poco. Alla frontiera ci sono diversi ragazzi che cambiano soldi, per strada, e diversi poliziotti che li osservano senza fare una piega. Yaya ne chiama uno, negoziano il tasso di cambio e poi mi fa cenno di cambiare. Il tutto davanti agli occhi di un poliziotto, che mi sorride. Non posso far a meno di pensare a come reagirebbe mio padre se fosse qui in questo momento: lo immagino steso a terra svenuto, e non riesco a trattenere un sorriso. Cambiati i soldi e consumato un pasto a base di banane, ci dirigiamo verso Kpalime, antico posto coloniale prima tedesco e poi francese, famoso per il mercato e per il centro artigianale, che visitiamo. Yaya mi racconta di aver vissuto gli anni della scuola secondaria a Kpalime, perché nella sua città di origine, Kara, nel nord del Paese, la scuola non c’era.


Dopo Kpalime, ci trasferiamo sulla collina di Kloto, che, con i suoi 900 metri sul livello del mare, Yaya mi presenta come il monte più alto del Togo. L’albergo in cui alloggerò si trova nella località di Kuma, nome a me familiare, essendo cresciuto a Cuma, nei Campi Flegrei. Mi accoglie una bella ragazza che vuole portarmi la valigia, cosa che non le permetto, lei insiste e cerca di prenderla, io la tengo stretta, Yaya che mi dice di lasciargliela, lei è pagata per questo, io che insisto nel non fargliela portare, insomma una figuraccia, perché la ragazza ritiene di non aver fatto bene il proprio lavoro, mentre io volevo essere solo, se non proprio galante, almeno gentile. Dopo essermi rinfrescato, vado con Yaya a cercare Prospero, l’entomologo che il giorno dopo mi farà visitare la foresta, per prendere appuntamento. Troviamo Prospero nella sua bottega, mentre dipinge, e Yaya comincia un’estenuante trattativa per la gita del giorno dopo: pur mettendosi d’accordo immediatamente sull’orario dell’appuntamento, non riescono a trovare un accordo sulla durata della gita; Prospero sostiene che, con una sola persona, un’ora di passeggiata sia sufficiente, mentre Yaya pretende la solita escursione di due ore. La discussione finisce con un nulla di fatto, scoprirò domani quanto durerà la gita. Rientriamo in albergo per la cena, che mi serve la solita bella ragazza: dell’ottimo pollo con cous cous. A fine cena, Yaya mi propone di tornare a Kpalime, mi vuole far vedere la sua cittadina di notte. Ci andiamo e, non essendoci l’illuminazione pubblica, in realtà non si vede niente. Andiamo in un bar a prendere una bibita; si tratta di uno di quei chioschi con due panche per sedersi, dove si mangia e si beve. Sono l’unico bianco; gli altri avventori mangiano, io e Yaya ordiniamo un té. Il proprietario decide di impressionarmi e così, mentre prepara una omelette, si mette a lanciare le uova in aria come fosse un giocoliere. Non posso far a meno di applaudire, è bravissimo. Dopo il bar, andiamo a bussare alla porta della “sorella” di Yaya, la signora che l’aveva ospitato negli anni della scuola. E’ buio, dormono tutti, ma Yaya bussa talmente forte fino a svegliarli. Si alzano tutti per salutarlo, subito mi offrono una sedia e ci mettiamo a chiacchierare all’ingresso. Stringo calorosamente le mani alla signora, mentre mi presento, la signora non si sottrae: solo il giorno dopo scoprirò di aver fatto una gaffe, perché la signora è musulmana (in Togo si praticano diverse religioni, non potevo saperlo a priori).

La mattina dopo vengo accolto dalla solita ragazza per una ricca colazione: frutta fresca, spremuta di arancia, omelette, toast con la marmellata… Noto all’ingresso dell’albergo un giovane ragazzo che indossa una giacca a vento invernale. E’ mattina presto ma ci sono già almeno 25 °C, il suo abbigliamento mi colpisce, forse sta male. Gli chiedo, nel mio francese stentato, spiegazioni, e mi spiega che siamo in gennaio, è inverno… A quel punto scoppiamo entrambi in una grossa risata. Lasciato l’albergo, non prima di aver dato una lauta mancia alla ragazza angelo custode, non solo per farmi perdonare la gaffe del giorno prima, ma soprattutto perché ha lavorato in maniera eccellente, mi reco con Yaya da Prospero e tutti insieme entriamo nella foresta. Mi si apre un mondo quasi fatato di colori: piante e animali mi circondano, Prospero cattura le farfalle col retino, le tocca delicatamente per farmele osservare e fotografare, e poi le lascia libere. Quando mi mostra le piante, e i loro frutti, Prospero mi mostra anche come fa a ottenere i colori con cui dipinge i suoi quadri. La passeggiata diventa senza tempo, rilassante e istruttiva. Dopo più di tre ore usciamo dalla foresta e andiamo nella bottega di Prospero, che mi offre un caffè mentre io scelgo un quadro da comprare. Quel quadro è esposto, da anni, nel mio ufficio. Quando salutiamo per andare via, Prospero mi ringrazia e mi dice che si è divertito con me questa mattinata. Ieri a discutere della durata della gita, e oggi abbiamo sforato tutti i tempi… Rivedrò Prospero qualche anno dopo, sulle pagine della rivista Africa, protagonista di un dettagliatissimo articolo che racconta le bellezze della foresta di Kloto.

In pomeriggio partenza per Atakpame, dove arrivo in serata, l’albergo è sulla strada principale. Questa volta non sono l’unico ospite, noto un’auto della Croce Rossa parcheggiata. L’accoglienza è calorosa come sempre. A cena, mi chiedono l’ora della colazione del giorno dopo. L’indomani mattina mi presento puntuale a colazione, ma mi tocca aspettare più di 45 minuti prima di venire servito, sebbene sia l’unica persona a ristorante. Mi agito, chiedo spiegazioni. Il cameriere mi guarda stupito, non capisce che fretta ci sia; in fondo, sono in vacanza. Comincio a riflettere, ha ragione. Lui nel frattempo, imperturbabile, va a cogliere le arance dall’albero appena fuori dal ristorante, e mi prepara la spremuta, poi taglia la frutta per la macedonia. Dopo poco arriva l’omelette, i toast con la marmellata fatta in casa, ed ecco servita la colazione più gustosa mai mangiata in vita mia. Si parte, direzione Sokode, per assistere a qualcosa di unico, la danza del fuoco. Sokode è una cittadina musulmana situata nel centro del Paese, dove arriviamo in pomeriggio. Non c’è niente da visitare, esiste un unico albergo molto modesto. Per la danza bisogna aspettare il buio, e così inganno il tempo passeggiando con Yaya. Mi rendo subito conto di essere una sorta di attrazione: sono l’unico bianco e tutti i bambini mi guardano incuriositi. In verità un paio piangono, ma gli altri sono attratti da cotanto pallore. Gli adulti invece vogliono chiacchierare, pensano che io sia francese e mi parlano di Francois Hollande; purtroppo faccio l’errore di identificarmi come italiano, e così mi parlano di Berlusconi…

La danza del fuoco è incredibile: uomini e ragazzi in trance ballano, lanciandosi nelle braci, passandosi sul corpo dei tizzoni ardenti, due uomini ne mangiano addirittura dei pezzi. Tra i danzatori ci sono anche due bambini. Non so come facciano, ma sono veramente impressionato. Tutti il villaggio viene ad assistere, per alcuni l’attrazione, più della danza del fuoco, è l’uomo bianco. Alla fine della danza restiamo a chiacchierare, alcuni danzatori si scusano per non aver continuato a ballare, temono che lo spettacolo sia durato troppo poco.

Il giorno dopo si parte in direzione Benin, passando velocemente per Kara, la città di Yaya, attraverso la faglia di Aledjo. Pranziamo mangiando papaja a casa di alcuni contadini. Le donne di questa famiglia sono semplicemente bellissime. Dopo i controlli alla frontiera entriamo in Benin, e ci rechiamo a visitare gli antichi villaggi Taneka, situati sulle pendici dei monti omonimi. Questi villaggi sono composti da capanne rotonde, con i tetti conici, protetti al centro da vasi di terracotta. La parte superiore dei villaggi è abitata dai sacerdoti dei feticci, vestiti con una pelle di capra, e dai giovani iniziati. Il mio arrivo al villaggio fa scalpore, divento immediatamente l’attrazione dei bambini, che non hanno mai (o quasi mai) visto un uomo bianco. Divento il loro idolo quando apro il mio borsello e comincio a distribuir loro le caramelle. Un bambino, in particolare, mi segue come un’ombra per tutta la durata della visita. Nel villaggio, prima di andare a far visita ai sacerdoti, incontro una poliziotta, che Yaya conosce. E’ in congedo maternità e quindi è tornata nel suo villaggio, al mio arrivo sta mangiando del riso con fagioli. Non appena mi vede, si precipita a offrirmi metà del suo riso. Ecco cosa vuol dire l’ospitalità. Arriva l’ora di ripartire, e così ci dirigiamo verso Natitingou. Lungo la strada, incontriamo i pastori Peul (o fulani, per dirla all’inglese) e ci fermiamo a visitare il loro accampamento. I Peul rappresentano per me la fortuna: la loro fierezza, unita alla loro timidezza, mi ha sempre affascinato. Li ho incontrati in tutti i miei viaggi in Africa occidentale, la loro vita seminomade mi ha sempre colpito. I bambini sono bellissimi, le ragazze anche, non si può dire lo stesso degli uomini. Chissà cosa capita loro dopo l’adolescenza… In serata arriviamo a Natitingou, e pernotto in un hotel molto elegante, il Tata Somba.

Nel nord del Benin e del Togo le popolazioni vivono in case fortificate, i Somba in Benin e i Tamberma in Togo. Queste case sono un esempio di architettura tradizionale africana, che si perpetua immutata da secoli. Si tratta di case patriarcali, fortificate e isolate, simili a piccoli castelli. I Somba e i Tamberma, un tempo unica popolazione che, dalla spartizione dell’Africa da parte degli europei, si trova a vivere in due nazioni diverse, si rifugiarono secoli fa nella catena montagnosa dell’Atkora, in un territorio di difficile accesso. La mia giornata comincia con la visita del villaggio Somba, dove vengo accolto molto cordialmente, in casa di una famiglia tra le più importanti del luogo. Quando arriviamo a visitare il terrazzo, scopro che è pieno di igname, lasciato a seccare. Non lontano dall’igname, si trova un arco con alcune frecce. Notando il mio sguardo perplesso, il giovane ospita mi spiega che i Somba usavano difendersi scagliando frecce contro i nemici. Decide di darmi una dimostrazione scagliando una freccia contro l’igname, ma… Come tiratore è veramente scarso, tanto che la freccia cade miseramente a terra ai suoi piedi. Tutti ridono, allora lui sfida il suo amico, e anche me, a fare meglio. Siamo tre disastri, come mi aspettavo. Insomma, i Somba erano guerrieri, ma è evidente che questo accadeva secoli fa. Lasciato Natitingou, rientriamo in Togo e visitiamo il villaggio dei Tamberma. Non è dissimile da quello dei Somba ma, per motivi a me sconosciuti, questo villaggio, a differenza di quello beninese, è stato dichiarato patrimonio dell’UNESCO. Anche qui accoglienza calorosa, in particolare da parte di una donna, che, guardandomi, sussurra parole che ovviamente non capisco. Chiedo a Yaya di tradurre e lui mi dice che la signora ritiene che io sia molto bello. Imbarazzato, non posso far a meno di consigliare un paio di occhiali. Terminata la visita del villaggio, torniamo a Kara, e da lì entreremo in Ghana. Ma di questo nuovo Paese vi racconterò un’altra volta…

Alla scoperta del Togo – Pappece Blog

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