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Andrea Salonia, autore del libro “odiodio”, edizioni La Nave di Teseo, risponde alle nostre domande. Ultima parte.

News.

Andrea Salonia, autore del libro “odiodio”, edizioni La Nave di Teseo, risponde alle nostre domande. Ultima parte.

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Dr. Salonia, già nel suo primo romanzo, Domani chiameranno domani, erano presenti orizzonti lontani (il Giappone) benché il romanzo si svolgesse a Manduria. Quale parte occupa l’esperienza del viaggio nella sua ispirazione letteraria? O, per dirla diversamente: il viaggio è per lei un ambito NEL quale ispirarsi o DAL  quale ispirarsi?

Il viaggio è ispirazione. Lo è da quando ho cominciato a viaggiare, credo da sempre in effetti. Il viaggio che ognuno vive a proprio modo. Per me è immaginarmi in un luogo, un qualunque luogo, arrivato da una suggestione, una fotografia, spesso anche solo una parola, o magari una musica; mi è perfino capitato per un profumo vaghissimo e lontano, o dalla sensazione umida di pioggia addosso e io che mi stringo le braccia attorno al petto. Ecco, il viaggio parte quando mi immagino fisicamente in un luogo e cerco quelle sensazioni che potrei provare essendoci già, e loro spesse volte arrivano, vivide.

Un esempio? Io sulla motocicletta sotto il cielo dell’Arizona che non ha equali durante i giorni di luce piena. Oppure star seduti in mezzo al Salar de Uyuni, biancore senza orizzonte che finisca, quadri d’acqua che rapiscono frammenti di azzurro, freddo, freddissimo, e le dita che bruciano accarezzando il sale. E la sabbia delle dune incontrate in Ladakh, e le camminate in su, verso i Dogon in Mali, o ancora le note che prendono in mano le stelle a Essakane, e…
E poi mi ci trovo per davvero, senza averlo studiato molto il mio viaggio: odio conoscere tutto, programmare i sentieri o le cose che capiteranno, o i minuti dopo i minuti tutto già prima per non perdersi nulla; perché possa essere un’esperienza quanto più vera possibile, di cui non abbia piena nozione a priori, chè altrimenti sarebbe più povera e un poco di quell’incanto verrebbe a mancare.

Così nascono i miei viaggi, da un gancio emotivo, dal far le valigie, e poi via. Allora il viaggio può davvero svilupparsi di suo in parole, parole che si scrivono su un foglio, appunti di impressioni, o vere e proprie frasi messe nero su bianco per non perdere il momento, o quella particolare idea. Il viaggio come tema del racconto? Ci sono stati troppi meravigliosi narratori di questo. Il viaggio che compenetra il racconto? Sì, a me succede esattamente ciò: un paese, un frutto, un liquore, un tessuto, una barca, gli occhi di qualcuno, cose rubate e messe tra le mie parole in fila indiana, come mi piace tanto dire.

Questi maledetti giorni, questo maledettissimi virus, sono paradigmatici in tal senso: non ho mai avuto paura della claustrofobia da confinamento, non l’ho mai realmente vissuta; sono medico, vado in ospedale tutti i giorni, cerco di fare al meglio il mio lavoro, di aiutare la gente; insegno a chi medico deve diventare, programmo e sviluppo progetti, ogni giorno; ricerco, cerco soluzioni per far star meglio le persone, ogni giorno; non ho sofferto il panico da mura attorno che non si aprano per lasciarmi scappare. So perfettamente di essere fortunato, in un momento drammatico per tutti.
Al paradosso, dopo tanti viaggi di lavoro, aerei, treni, su e giù, forsennate organizzazioni di orari e giorni e secondi che non si devono sovrapporre ma che anzi hanno l’imperativo obbligo di ben stare in armonia tra loro;

Dopo avventure in mezzo mondo, dai granchi della spiaggia di Bir Ali, in quello Yemen dove oggi è pressoché impossibile andare, al Tatio del deserto di Atacama – a San Pedro ho conosciuto la musica di Goran Bregović per la prima volta, incredibile, con tutti che ballavano sui tavoli, folli dei suoi ritmi balcanici, ed eravamo in Cile, ndr – all’incessante rombeggiare antico dei tamburi della festa della terra all’isola di Sado, e poi molte altre; ecco, dopo tante emozioni sparse per i cinque continenti, al paradosso l’unico posto che mi abbia saputo trasmettere tranquillità, un senso di protettiva protezione era la mia casa, circondato dai libri, da tutte quelle parole che sanno donare calma e togliere la paura: star fermi, annullare perfino l’idea di viaggio.

Ma ho capito che la meraviglia del muoversi ed esperire IL viaggio sia anche questa, e passi obbligatoriamente anche da qui: star fermi, chiusi, immobili quasi, per lasciar montare quella voglia matta di lasciarsi suggestionare da una fiammella, e la più piccola. Oggi? Oggi ho sentito che c’era tanta, tantissima voglia di musica tanguera, del Caminito di Buenos Aires, dove è nato il mio amico Giulio, compagno di banco di una vita, e dove non sono mai stato. Ed è ora che so che presto ci riprenderemo quella nostra vita di piedi uno davanti all’altro, di esperienze e di genti altre, e di rumori e di cibi e di diarrea e di insetti e di acqua a scrosci e sveglie impossibili e…

Prima parte dell’intervista
Seconda parte dell’intervista

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