Andrea Salonia, autore del libro “odiodio”, edizioni La Nave di Teseo, risponde alle nostre domande. Prima parte.
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Andrea Salonia, nostro fedele viaggiatore, ha pubblicato il suo secondo romanzo, “odiodio”, edizioni La Nave di Teseo 2020. Si è ispirato anche ai suoi viaggi fatti con TransAfrica. Gli abbiamo rivolto alcune domane.
Ecco la prima parte dell’intervista:
Dr. Salonia, il vudù occupa una parte importante del suo romanzo. Quali dimensioni di questa religione l’hanno più colpita?
Quando arrivi la prima volta in Africa è come una nascita, che è certamente più di una rinascita, perché sfido chiunque a ricordare le sensazione di quando è caduto nel mondo. E’ il sole, sono gli odori di cui tutto odora, i colori fatti di pigmenti densi che sembra che non vi possano essere mai stati colori tanto forti, oppure così ovattati.
Perché lì l’aria è a tal punto particolare che proprio la percepisci, e dev’essere per questo – come avrebbe detto il mio Faustino – che tutte le cose, gli oggetti, la flora la fauna e le genti acquistano una sfumatura differente. Anzi, straordinaria nel niente di speciale che spesso ti circonda. E la tua nuova nascita è un poco un’estasi.
Ora, questo vale ovunque in Africa, e in quell’ovunque ogni volta in modo diverso. Specie se arrivi nell’Africa del Golfo di Guinea. Almeno per me è stato così. Per quello la prima volta che ti trovi in Ghana, in Togo o in Benin avverti qualcosa che negli altri luoghi del continente non avevi provato; una fascinazione che quasi ti spaventa, e da principio non sai dartene una spiegazione; perché in fondo da lassù, a casa, Africa è Africa, e africani sono africani, punto.
Ma quando metti i piedi uno davanti all’altro lungo la costa che quegli africani li ha fatti schiavi, li ha tratti lontano, oggetti in balia di acqua e mostri a due gambe e senza cervello; ecco, allora lì capisci quanto sia rilevante far giusti distinguo, e il tuo sentire cambia. E cambia in toto; cambia e prendi coscienza di emozioni nuove e antiche al tempo stesso.
Quando hai più chiara la motivazione di ciò? Per me è stato l’arrivo ad Akodessewa, il mercato dei feticci di Lomè, un posto che è un mondo, una Luna dove se non hai mai avuto il tuo luglio del ’69 e non ci hai mai messo piede mai potrai comprendere da dove arrivino molte di quelle stranezze che avvertivi sulla pelle, nel naso, nei polmoni, e ancor più nel cuore e nel cervello. Migliaia, anzi forse decine di migliaia di teschi, pelli, animali incartapecoriti, polveri, sassi, frammenti di ossa, uomini e donne racchiusi in piccole statue, legno e piume e squame di serpente.
E ancora scorpioni, e occhi, e perline colorate. Il tutto distribuito in bella mostra, tavolacci densi come le più strabilianti tra le wunderkammer del XVIII secolo, ma senza le mura intorno. Tutto è sotto quel sole generoso e implacabile. Ma nulla mi avrebbe fatto pensare al mercato di Porta Torre, quello a Como che andavo a visitare soprattutto nei giorni di Pasqua. Lì, Lomè, Togo, Golfo di Guinea, gli agnelli sacrificali avevano e hanno un significato altro e altrettanto profondo.
Lì c’è il vudù, che avvolge tutto, ogni granello di polvere per strada, ogni automobile che attraversa il paese, il gallo e la gallina che razzolano tra le vite delle persone, i gatti e i cani, le foglie e i frutti, il tutto, e la gente prima di tutto il resto. Ed è una forza primigenia, ancestrale e mai folclore; lì è vita ed è morte, è tutte cose che son pregne di spiriti e antenati e ponti ultraterreni e fumo e urla e perdite di coscienza e sangue, e forse fin di più.
Questo imprescindibile permeare ognuno dei singoli attimi della vita delle persone mi ha colpito; l’assoluta mancanza di superficialità di una fede che viene da lontano e che plasma l’intero vivere, e che per “noi” è difficile arrivare a comprendere. Questo mi ha impressionato, e parte di ciò è entrato di necessità, e con forza, nelle pagine di odiodio.
Seconda parte dell’intervista
Terza parte dell’intervista